
Capita a tanti di noi di usare parole più o meno comuni, di cui siamo convinti di conoscere il risultato ma di cui magari ignoriamo etimologia e significato profondo. Questo ci porta a volte a considerare sinonimi termini che sinonimi non sono, come nel caso di “insegnare” ed “educare”; oppure altre volte a utilizzare termini oramai entrati nell’uso comune con un significato, me che in un passato più o meno recente avevano tutt’altro significato, come può essere il caso di “scorbutico”.
Questo atteggiamento trova un’evidenza ancora maggiore in praticanti di discipline tecniche o artistiche che abbiano avuto nascita e sviluppo in tempi e luoghi lontani dal nostro quotidiano, che si trovano quindi ad adottare, a volte in maniera quasi inconscia, termini e atteggiamenti sconosciuti ai più.
Per questo (ma non solo per questo) nel raccontare cosa è stato il Takemusu Aikido Gasshuku 2025 che si è svolto anche quest’anno presso l’Acquaparco “Verdeazzurro” di Cingoli (MC), non ho trovato modo migliore che partire proprio dall’etimologia del termine “gasshuku“, lasciando da parte – almeno all’inizio – il resoconto cronachistico delle tre giornate di pratica.
“Gasshuku” è un termine giapponese che viene usualmente tradotto letteralmente “alloggiare insieme”, con cui – nelle arti marziali, ma non solo – viene indicato un raduno di due o più giorni dedicato all’addestramento intensivo, durante il quale i partecipanti alloggiano, mangiano e praticano insieme, solitamente in un luogo abbastanza isolato.
A differenza della esperienza di uchideshi, in cui è solo l’allievo che pratica, mangia e pernotta nel dojo o in locali annessi, durante un gasshuku questa esperienza comunitaria è vissuta insieme agli insegnanti, che diventano una sorta di primus inter pares in tavolate comuni, momenti di svago e incontri personali.
Tornando a quanto detto all’inizio, ancor più di tante parole lo spirito del gasshuku è espresso dagli ideogrammi con cui viene scritto, che sono 合宿. Il primo crediamo che, per chi pratica Aikido, non abbia bisogno di alcuna spiegazione, per cui dedichiamo la nostra attenzione al secondo, che, considerato singolarmente, si legge “suku” in modalità Go-on, “shuku” in modalità Kan-on e “yadoru” o “yado” in modalità Kun, esprimendo sia l’atto di pernottare, alloggiare, risiedere, vivere o abitare che il luogo o l’edificio in cui questo avviene, quindi una casa, una locanda o una pensione.
A chiarire maggiormente il significato profondo di 宿, ci aiuta l’analisi del carattere cinese antico da cui deriva, che si legge sù oppure xiǔ in mandarino e nella scrittura oracolare in osso era composto ideogrammico dei due caratteri 人, che indicava una persona e 百, che rappresentava una stuoia di bambù, a cui a volte veniva aggiunto superiormente il pittogramma 宀 con il significato di casa, con il risultato complessivo di una persona che riposa su una stuoia all’interno di una abitazione.
Fermiamoci qualche istante a riflettere sul significato di questo termine e su cosa significa oggi, ma soprattutto a cosa significava in passato, quando dormire e mangiare fuori casa implicava un grande atto di fiducia in chi ci offriva vitto e alloggio. Il rischio di essere intossicati dal cibo o sistemati in una camera scomoda era tutt’altro che remoto, come concreta era la possibilità di essere avvelenati o uccisi nel sonno per essere derubati dei nostri averi, episodi che tanto nei film di Akira Kurosawa che di Sergio Leone (per citarne solo due tra tanti) ricorrono spesso come espediente narrativo.
Ecco quindi che i caratteri 合宿 indicano non solo e non tanto un momento di divertente vacanza, quanto una dichiarazione di grande fiducia e affetto reciproco, sentimento che anche quest’anno è stato il valore aggiunto del Takemusu Aikido Gasshuku, in cui Paolo Corallini Shihan, Francesco Corallini Sensei e i Senpai della TAAI hanno creato un clima di amicizia, affetto ed accoglienza, che ha fatto sentire “a casa propria” tutti i presenti, dallo yudansha più esperto al principiante alla sua prima esperienza, senza escludere chi, pur non praticando sul tatami, aveva accompagnato i partecipanti all’evento.
Si potrebbe dire molto altro ma per altri motivi ci si può fermare qui.
Essere presenti in questi tre giorni speciali fa comprendere perché ci sia chi, come il gruppo proveniente dalla Bulgaria o altri praticanti esteri, affronta viaggi di migliaia di chilometri per partecipare al gasshuku: certamente per praticare Aikido, ma anche per ridere e ballare insieme, per incontrare vecchi amici e per conoscerne di nuovi, per condividere le gioie e i dolori, per salutare i miglioramenti della salute di alcuni e per abbracciare chi ha subito un lutto recente, per ascoltare i racconti di viaggio di chi è appena tornato da località esotiche e per condividere il percorso da chi è partito a distanza di pochi chilometri da noi, per assaggiare leccornie regionali che in molti hanno portato per impreziosire i già ricchi tavoli dei pranzi e cene allestiti con puntualità e cortesia dal personale dell’Acqua Parco “Verdeazzurro”.
A questo punto, ciliegine eccellenti di una torta così eccezionale, è giusto e opportuno citare anche quello che è stato il programma tecnico del gasshuku.
Le lezioni del venerdì sono state dirette da alcuni tra i più alti gradi della TAAI, che hanno condiviso le loro esperienze tanto nell’Aikido che in altri percorsi, fornendo – ciascuno per la sua parte – molti e variegati spunti di riflessione e approfondimento.
Franco Milano Sensei ha ribadito alcuni concetti di base nella pratica dello Aiki jo, con un costante rimando ai fondamenti tecnici ed all’insegnamento dei Maestri.
Paolo Biondi Sensei ha invece offerto un’analisi originale su kokyu e pranayama, approfondendo alcuni concetti relativi alla respirazione nell’Aikido e nello Yoga, proponendo anche alcuni esercizi pratici.
Riccardo Canavacci Sensei ha invece diretto una sessione di pratica dedicata ai princìpi ed ai konpòn nella spada giapponese, evidenziando alcuni concetti teorici e sottolineando numerosi aspetti pratici che rendono la pratica efficace ed efficiente.
Nel pomeriggio, in un’affascinante lezione di Shodō, Roberta Verdenelli Sensei, ha guidato (è proprio il caso di dirlo!) la mano ed il pennello di una ventina di partecipanti alla scoperta del fascino della calligrafia giapponese.
Riposti inchiostro e carta di riso e reindossato il keikogi, è stato poi il momento dell’analisi di alcuni particolari dei kumi jo offerta da Marco Uda Sensei, per poi concludere la giornata con una sessione dedicata alla didattica di base del tai jutsu a cura di Emilio Fornari Sensei.
Sabato mattina, approfittando della giornata soleggiata e dell’ampio prato a disposizione, Paolo Corallini Shihan e Francesco Corallini Sensei hanno analizzato esecuzione pratica e particolari tecnici e simbolici del 31 Kumi jo, l’esecuzione con un partner del kata 31.
Nel pomeriggio, sessione di esami per gradi dan sia di Tai Jutsu che di Buki waza, brillantemente superati dai candidati, con l’apprezzamento delle due commissioni d’esame, la comprensibile emozione dei candidati e la legittima soddisfazione dei loro insegnanti; successivamente, subito spazio sul tatami alla sessione di tai jutsu diretta da Francesco Corallini Sensei e dedicata a tecniche di kokyunage (ma non solo) su attacchi meno comunemente studiati, come sodeguchidori, sodedori e munadori.
Domenica mattina dedicata allo Aiki ken, ancora una volta all’aperto, con la pratica dei cinque kumitachi e del ki musubi no tachi ed infine, prima del pranzo e dei saluti finali, la consegna dei diplomi ai neo promossi del giorno prima e la consegna del Godan (5° dan) Aikikai so Hombu a Fiorenzo Principi Sensei, salutata da uno scrosciante applauso dei presenti.
In mezzo a tutto questo – come detto – sudore e risate, impegno e leggerezza, amicizia e passione, chiacchierata con i compagni e con i Maestri, richieste di consigli e condivisione di aneddoti; in una parola Aikido no kazoku, quella grande famiglia universale sognata e voluta dal Fondatore.
A cura del M° Carlo Caprino