Come oramai tradizione, anche quest’anno, nei giorni 13 e 14 settembre si è tenuto ad Osimo (AN) il consueto seminario istituzionale della Takemusu Aikido Association Italy, diretto da Paolo Corallini Shihan e da Francesco Corallini Sensei.
A cura del M° Carlo Caprino

Sul tatami si sono incontrati quasi un centinaio di partecipanti, provenienti non solo dall’Italia ma anche da Regno Unito, Belgio, Francia, a suggellare ancora una volta quel sentimento di collaborazione e amicizia che anima la grande famiglia dell’Aikido.
Fare un asettico elenco del programma delle tecniche praticate sul tatami servirebbe a ben poco sia ai presenti che a chi non c’era; sottolineare l’attenzione verso tutti i partecipanti e la ricchezza dei dettagli illustrati da Paolo Corallini Shihan e da Francesco Corallini Sensei sarebbe quasi pleonastico e così, mentre sulla via del ritorno pensavo a come impostare questo articolo mi è venuta in involontario aiuto mia moglie che – mentre percorrevamo in auto la A14 sulla via di casa – mi ha chiesto se in questo fine settimana avessimo praticato nuove tecniche oppure se quanto visto era già da me conosciuto.
E’ stata l’ennesima dimostrazione che le coincidenze non sono forse casuali come a volte pensiamo, perché quella domanda si è incastrata alla perfezione con quanto i Maestri hanno spiegato sul tatami, catalizzando e rendendo evidenti tanto alcuni particolari tecnici che alcuni aspetti simbolici.
Marcel Proust, in una sua celebre frase, affermava che: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Questo implica un cambiamento interiore, un invito a osservare il mondo e le persone con una nuova consapevolezza, rendendo vivido e ricco di significato anche ciò che fino ad un attimo prima pensavamo di conoscere alla perfezione.
Capita così che un passaggio del ju san no jo awase spiegato da Paolo Corallini Shihan mostri uchi jo e uke jo come la dimostrazione plastica del principio bipolare dello In/Yo universale, costantemente mutevole; avviene che ascolti con orecchie forse più attente gli inviti rivolti ai praticanti da Francesco Corallini Sensei durante la esecuzione delle buki-waza e comprendi che la differenza di esecuzione nelle modalità di awase e kiai non è solo nelle modalità di conteggio delle diverse fasi ma anche nella velocità di esecuzione; cominci a capire che senza la necessaria cura nel Tempo, nella Misura e nella Distanza (volutamente con le maiuscole) l’esecuzione delle tecniche sarebbe poco più che una artefatta coreografia e infine realizzi che forse non è un caso che siano stati proprio tre specifici henka ad essere stati scelti per la esecuzione del ken tai jo dai yon.
A tutto questo si aggiunge poi il momento in cui, nella parte finale della sessione domenicale, Paolo Corallini Shihan ha citato per l’ennesima volta il kuden del Fondatore che con il suo “Mite, kiite, wakaru kara” ci spiega che per comprendere appieno è indispensabile guardare ed ascoltare non solo con con i sensi fisici; e comprendi che i ripetuti inviti a curare seme, zanshin e tsura kamae non sono solo rivolti a migliorare la pur fondamentale precisione nella esecuzione delle tecniche, ma puntano anche a renderci sempre più consapevoli tanto del “qui e ora” che della importanza di percorrere la Via nella giusta direzione e con i traguardi più opportuni.
Seguire le tracce dei Maestri passati, evitare improvvide personalizzazioni, curare con attenzione anche i particolari apparentemente più minuti è ben diverso dal ripetere passivamente gesti e azioni; la pedagogia tracciata da Morihiro Saito Sensei, se correttamente adottata, permette davvero di “guardare cose conosciute con occhi nuovi” e ci aiuta – paradossalmente – ad ampliare la nostra prospettiva, a non limitarci a una visione superficiale, ma indagare e scoprire la profondità e la bellezza celata in ciò che pensiamo di conoscere.
Sviluppare una nuova consapevolezza è il passo necessario per mettere in discussione le proprie convinzioni e abitudini con il fine di scoprire nuove verità e comprendere il mondo da punti di vista diversi, anche quello degli altri. Invece di cercare costantemente il nuovo altrove, si impara a scoprire la ricchezza e la meraviglia in ciò che ci circonda, trasformando l’ordinario in straordinario. Questa attitudine diventa preziosa non solo sul tatami, ma anche (e soprattutto) nella nostra vita quotidiana, stimolando la capacità di essere curiosi e pronti a lasciarci sorprendere, mettendo da parte i nostri schemi preconcetti per accogliere nuove interpretazioni del mondo.
Ecco quindi che anche l’ennesima ripetizione dei suburi o dei tai-no-henko può essere l’inizio di viaggio di scoperta personale, che trasforma il nostro modo di percepire la realtà, rendendola un’esperienza sempre nuova e appagante.
Perché ciò accada, è indispensabile tanto la attitudine personale del singolo praticante quanto la disponibilità dell’insegnante che indica “cosa” e “dove” guardare, ed in questo Paolo Corallini Shihan e da Francesco Corallini Sensei forniscono un eccellente esempio, riuscendo ad essere sul tatami proponendo una pratica proficua tanto per chi indossa la hakama da decenni che per il mudansha ai suoi primo tai-sabaki.
Altrettanto prezioso è stato, come sempre, il contributo di chi ha permesso che tutto si svolgesse nel migliore dei modi, ed è per questo che è doveroso il ringraziamento ai membri del Takemusu Aiki Dojo di Osimo per l’organizzazione e al Takemusu Aiki Dojo Macerata per aver prestato i loro tatami e consentito ai praticanti di partecipare in sicurezza al seminario.
