Cronache da un seminario: Rende (CS) 2-3 dicembre 2023

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“Tutti i seminario di Aikido sono belli e interessanti, ma ogni seminario di Aikido è bello e interessante a modo suo”. Mi perdoneranno gli amanti della letteratura russa per questo incipit che richiama in modo sin troppo smaccato quello ben più originale di “Anna Karenina”. Eppure è questa la frase che, in estrema sintesi, ho utilizzato per descrivere questo evento, a poche ore dal battito di mani che ne ha segnato la fine, mentre tornavo in auto verso casa.

Giunto alla settima edizione, il seminario che oramai tradizionalmente si svolge a Rende (CS) il primo fine settimana di dicembre è oramai un appuntamento fisso per i praticanti meridionali, ed anche quest’anno Calabria, Sicilia e Puglia hanno risposto all’appello, accorrendo sul tatami allestito presso il C.U.S. di Cosenza per una due giorni dal tema tutt’altro che banale.

Sette è un numero dalla simbologia variegata; sette sono le note, i colori dell’arcobaleno, i peccati capitali ed i nani di Biancaneve e per i praticanti di Aikido sette sono le pieghe della hakama e i suburi dello Aiki-ken. Solo su questo si potrebbe imbastire un racconto denso di intriganti allusioni più o meno esoteriche ma perché complicarsi la vita, quando ciò che appare evidente è più che sufficiente per provare a raccontare cosa ha caratterizzato la pratica cosentina?

Il tema del seminario, scelto dal M° Giuseppe La Delfa, è stato “Kihon and Basic”, ed in contraddizione solo apparente è uno dei più impegnativi che si potessero scegliere, stante la grande quantità di argomenti da trattare e la loro importanza per una pratica proficua e consapevole.

Come sempre il M° Francesco Corallini non si è tirato indietro, ed ha offerto ai presenti una esposizione chiara e lineare, ricca di dettagli e puntellata da approfondimenti e stimoli di pratica, in grado di coinvolgere tanto i principianti che i praticanti più avanzati. Se infatti il tema del seminario poteva far pensare che questo fosse dedicato principalmente ai mudansha, invero anche i mumerosi yudansha presenti hanno avuto occasione di fugare dubbi, consolidare certezze e approfondire concetti che troppo spesso si danno colpevolmente per scontati.

A questo punto sarebbe facile raccontare quale è stato il programma del seminario, dettagliare che la pratica dello Aiki-jo ha visto l’esecuzione dei suburi e dei kata 31 e 13, che lo Aiki-ken ha visto specularmente la proposta di suburi e ken-awase e che nella sessione dedicata al tai-jutsu ci si sia soffermati su tecniche e principi fondamentali come ikkyo o shihonage; si potrebbe arricchire la cronaca aggiungendo che in ogni sessione era presente una chicca per deliziare i palati più esperti e per mostrare alle cinture bianche un orizzonte di pratica più ampio: la forma di 32 movimenti col jo mostrata da Saito Morihiro in un video girato ad Iwama, alcuni henka sul shichi no awase di ken, altri henka su Ikkyo, solo per citare fior da fiore.

Ma è anche giusto (o forse solo presuntuoso…) raccontare perché chi scrive questa cronaca abbia trovato questo seminario tanto profondamente interessante, nonostante la apparente semplicità del tema, e per farlo consentitemi di passare ad una esposizione più personale, cambiando il registro dalla cronaca al diario.

Accade, ogni tanto, che io abbia delle modeste epifanie, delle piccole illuminazioni, delle semplici dimostrazioni di cose che ho sempre saputo, forse ho anche a mia volta ripetuto, ma che non avevo ancora fatto davvero mie.

Come me, credo in tantissimi, durante la loro pratica ed il loro addestramento, hanno voluto imparare sempre di più, sempre cose nuove: variazioni, applicazioni, derivazioni, henka, oyo e via dicendo.

Poi arriva il momento in cui cominci ad intravedere l’importanza della semplicità, del “levare”, dell’asciugare, dell’essenziale; cominci a capire che è quasi sempre molto più utile ripassare e ripassare e ripassare un passaggio apparentemente semplice e sicuramente fondamentale piuttosto che un qualcosa di nuovo, arzigogolato e “superiore” (volutamente tra virgolette).

Le nostre nonne avevano in cucina una o due padelle, e con quelle cucinavano tutto; oggi le loro nipoti hanno il wok per la cucina esotica, la pentola a pressione per cucinare di fretta, la friggitrice elettrica per non affumicare casa, la bistecchiera in pietra ollare che fa salutista e chi più ne ha più ne porti.

Cominci allora ad aver voglia, anzi – bisogno – di fare più di qualche passo indietro, approfondire, ripassare, capire, sentire tuo (per quanto possibile), e questo seminario ha contribuito proprio a questo, non a far crescere di un ulteriore piano il palazzo della mia conoscenza tecnica ma piuttosto a consolidarne le basi e rinforzarne le fondamenta per evitare che si trasformi in una novella torre di Babele.

A chi volesse obbiettare che dopo qualche decennio di pratica Ikkyo non dovrebbe avere segreti si potrebbe rispondere con il famoso kuden “Ikkyo issho” o sottolineando l’importanza di guardare con occhi nuovi le cose che pensiamo di conoscere oppure – e forse sarebbe più proficuo – non rispondere affatto e dedicare quel tempo a ripetere ancora una volta un kata o una serie di suburi. A ciascuno il suo, e non può essere diversamente.

Dopo aver sottolineato la generosità umana e la competenza tecnica del M° Francesco Corallini non si può chiudere questa cronaca senza rendere merito alla formidabile squadra dello Shinjin Dojo di Rende, capitanata dal M° Giuseppe La Delfa, che ogni anno riescono a farci sentire a casa, predisponendo una accoglienza impeccabile sotto ogni aspetto. Onore al merito a chi ha percorso centinaia di chilometri per esserci (in alcuni casi incastrando altri impegni di lavoro tra una sessione di pratica mattutina e pomeridiana) e – last but not least – a chi, pur praticando un altro stile di Aikido ha voluto salire sul tatami in uno scambio sincero e amichevole.

Ancora una volta il concetto di “Aikido no kazoku” si è realizzato nel migliore dei modi, ancora una volta, l’unica pecca di questo evento è che bisognerà attendere un anno per rivivere le emoziooni che riesce sempre a donare.

Articolo a cura del M° Carlo Caprino

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