“Ushiro kiru no kimochi-de” (Con la sensazione della azione di tagliare dietro)

Come altri, anche questo breve kuden ha una valenza prettamente tecnica e nello specifico si riferisce alla sensazione di ruotare e tagliare all’indietro per eseguire correttamente lo shi-ho nage ura waza.

Questa indicazione rimarca quanto – almeno nella didattica di Saito Morihiro Sensei – la pratica del tai jutsu e quella delle buki waza siano interconnesse, concetto peraltro esplicitato dall’altrettanto noto “Tai jutsu ken jo onaji desu”, che tratteremo in un altro momento.

In quest’ottica, la pratica delle buki waza – oltre ad avere una evidente utilità per l’acquisizione della necessaria esperienza di maneggio di jo e ken –  è un utile espediente per migliorare la comprensione delle tecniche a mani nude, in particolare quando vengano eseguiti movimenti che richiamano tecniche e principi alla base dell’impiego delle armi, come è appunto il caso di shi-ho nage.

Anche in questo caso, preso atto dell’evidente significato pratico del kuden, analizziamo il significato di alcuni dei caratteri che lo esprimono. E’ infatti abbastanza noto che gli ideogrammi hanno diversi livelli di lettura e sono spesso composti da due o più radicali o caratteri principali che messi insieme esprimono un concetto a volte sensibilmente differente da quello dei singoli componenti.

In particolare, è interessante in questo caso approfondire il significato di “kimochi”, che possiamo tradurre come “sentimento, sensazione, atteggiamento, stato d’animo” e si scrive con i caratteri 気持ち. Il primo è l’abbastanza noto 気 (Ki), che ha – tra i vari significati – quelli di “spirito, energia vitale,  respiro, gas, atmosfera, sentimento, umore”. Il secondo carattere è 持 [Mo(tsu)],  ha il significato di “tenere, avere, mantenere” ed è un composto fono-semantico con a sinistra il pittogramma con valore semantico 手 che rappresenta una mano aperta con le dita distese ed a destra con valore fonetico 寺, che preso singolarmente indica un monastero o un luogo di culto.

Quest’ultimo carattere – nella sua etimologia cinese – è a sua volta composto dal radicale 又, che rappresenta la mano destra, con il valore semantico di afferrare o mantenere e dal carattere fonetico 之 – che è in realtà un composto ideogrammatico di 止 (piede) e 一 (uno, nel senso di luogo iniziale ) con in origine il significato complessivo di “andare”. In giapponese il carattere era precedentemente usato per rappresentare la particella possessivaの (no) mentre nella lingua nipponica moderna questo carattere è usato raramente e si trova più comunemente nei nomi, come 龍之介 (Ryunosuke).

Come abbiamo appena visto, l’analisi di kanji e ideogrammi si rivela spesso una sorta di avventura con le matrioska, in cui ad ogni livello di approfondimento ci si apre davanti una nuova ed imprevedibile scoperta. Ci permiamo quindi qui per non complicare ulteriormente la nostra analisi, ritenendo che basti questo esempio per evidenziare le molte sfumature della lingua giapponese.

Tornando al nostro kanji, possiamo quindi tradurre letteralmente “kimochi” come “afferrare l’energia, mantenere lo spirito, tenere il sentimento” poiché  il carattere ちche completa il termine ha un valore puramente fonetico e rappresenta la sillaba “chi” in caratteri hiragana, omofona al katakana チ.

Dopo aver ribadito il suo significato pratico ed il suo impiego didattico, possiamo spendere qualche riflessione sul kuden, ricordando che nel gesto di “tagliare dietro” possiamo rivedere una azione archetipica rappresentata da molte divinità orientali, tra le quali Manjushri, il Bodhisattva che rappresenta la saggezza raffigurato mentre brandisce una spada con la mano destra per tagliare alla radice l’illusione e la confusione mentale, oppure Fudō myō-ō, divinità del Buddhismo giapponese ritratto mentre tiene nella mano destra la spada della saggezza [倶利伽羅 Kurikara] che taglia l’ignoranza ed i tre veleni che essa genera (invidia, accidia e avidità) e nella mano sinistra una corda [羂索 Kensaku] con cui legare i demoni che rappresentano i pensieri inferiori per condurre le persone all’illuminazione.

Nel tagliare abbiamo evidente l’espressione di una azione ineluttabile, che non permette ripensamenti e non ammette correzioni; non a caso il detto “Ken fude ittai” (la spada ed il pennello sono uguali) paragona il fendente di una lama al tratto di inchiostro che una volta impresso sul candido foglio di carta di riso non può più essere cancellato. Ecco quindi che qualunque taglio deve essere compiuto dopo averne ben ponderato le conseguenze e gli effetti, e giammai effettuato a cuor leggero. Questo vale a maggior ragione per un taglio che effettuiamo all’indietro, quando – simbolicamente o effettivamente – “tagliamo i ponti” alle nostre spalle, quando è necessario prendere atto che qualcosa o qualcuno che ci ha accompagnato nel passato non ha più spazio nel futuro, quando dobbiamo appunto comprendere come, cosa e quando tagliare per abbandonare le zavorre, tagliare il cordone ombelicale (reale o virtuale che sia) che seppure ci ha nutrito ci tiene però vincolati e limita la nostra crescita futura, insomma staccarci dal superfluo o dal dannoso e poterci poi liberamente e consapevolmente muovere nelle “quattro direzioni” che illustra la pratica dello shi-ho nage.

A cura di Carlo Caprino

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